Maria Cristina Crespo “L’opera d’arte è un trofeo d’amore”
Maria Cristina Crespo
L’opera d’arte è un trofeo
d’amore
da Images Art & Special
Questa specie di cieca fede tipicamente medievale, faceva sì che anche le imprese più impegnative come un’esplorazione venissero affrontate con una naturalezza speciale, unita a uno stupore che non veniva mai meno. E poteva succedere anche il contrario… che un piccolo episodio si trasformasse in una impresa epica, memorabile. Questo stesso spirito lo si ritrova nelle predelle del Beato Angelico, o del Sassetta, mai sopraffatto, anzi esaltato da una estenuata raffinatezza. Semplicità e ricercatezza, impeto e laboriosità. Mi piacerebbe risvegliarmi imbarcata verso un sogno tipo quello di San Brandano, che non sapeva a quale genere di conoscenza sarebbe arrivato ma certo alla partenza si era organizzato bene.
Un viaggio iniziatico cosparso di incontri, come quello del Piccolo Principe: è una volpe a insegnargli come illuminare la vita: “…I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai i capelli color dell’oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano…” La volpe insegna al Piccolo Principe il valore dei rituali e come si possa essere felici.
Il segreto è mantenere l’armonia. “Ho raccolto e accumulato in me ricchezze. E la morte non mi spaventa più. Ho ritrovato in me quell’armonia che avevo posseduto da bambina”: in questo caso è Alma Mahler che parla. Un santo medievale, un bambino “extraterrestre”, una donna speciale… inventati o reali che siano, ciascuno a suo modo fa radicare in maniera diretta la propria esperienza da quella Vita Universale il cui senso è raramente comprensibile, ad eccezione forse che attraverso l’arte.
Non poteva essere che un grande attore (Barrault) a dare un’immagine poeticissima di simili, fuggevoli approdi… trofei d’amore, vedere nelle opere d’arte dei trofei d’amore, unico risultato tangibile del rapporto tra un artista e la Vita Universale. Se guardo queste mie cose mi rendo conto che forse si è trattato di un rapporto un po’ patetico, come quello tra certi uomini e certe donne… che ha lasciato tracce risibili, grottesche, detestabili scorie di una aggressione passionale (fallita?). Monstra, antipatici come certi idoli primitivi, tramite i quali si aveva la pretesa di far rivivere personaggi e situazioni, ma, perché no, anche piccole Wunderkammern, in cui si affastellano uno accanto all’altro, capricciosamente, ricordi di infanzia, feticci poetici, artistici o musicali sotto forma di minuscole citazioni, suggestioni, passioni, con un risultato spesso kitsch, come può esserlo il souvenir del Colosseo o una palla di vetro con la neve sul santuario di Fatima, ma dentro di me grandioso come la scena di un’opera lirica o un quadro di Rubens.
Tutto si sovrappone come all’interno di un diorama del circo Barnum, dai fondali iperrealistici, contro i quali si stagliavano tridimensionalmente animali veri impagliati, figure di cera vestite di esotici costumi, corredate di un autentico campionario da museo antropologico.
Così come tutto si sovrappone, anche nel senso della realizzazione tecnica… quello che accade all’interno di queste scatole brulicanti non è reso in assemblaggio ma per stratificazione. Ed anche se è vero che quello che conta alla fine è il risultato formale, è anche vero che un certo tipo di realizzazione lenta, fatta di attese, di rituali ben precisi, trasmette un valore magico agli oggetti finiti, come se uscissero fuori da una lunga, lentissima metamorfosi che li avrà resi eterni o, quanto meno, solo molto apparentemente effimeri.
Così come lentamente si sedimentano dentro noi stessi immagini sentimenti episodi. Mi viene in mente la casa antica di mia nonna, dove sembrava che d’estate mi annoiassi; con le fondamenta dalle parti dell’Antro della Sibilla (Prenestina); nella cantina pare fosse nato il Principe della Musica (Pierluigi), e, benché fosse un pollaio, aveva tanto di lapide marmorea a ricordo dell’evento; prima dei bombardamenti era appartenuto tutto ai Barberini… gli scarti dei loro scavi archeologici servivano ai ragazzini per giocarci; tanti volti ora raggrinziti vivevano di racconti interminabili della Belle Epoque, di navigazioni verso terre esotiche o coloniali, e della partecipazione a rituali popolari religiosi, di cui un classico era rappresentato dalla Vestizione della Madonna del Carmelo; e quella che io chiamavo noia era soltanto un gran turbinio di suggestioni destinate a sedimentare.
Un viaggio iniziatico cosparso di incontri, come quello del Piccolo Principe: è una volpe a insegnargli come illuminare la vita: “…I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai i capelli color dell’oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano…” La volpe insegna al Piccolo Principe il valore dei rituali e come si possa essere felici.
Il segreto è mantenere l’armonia. “Ho raccolto e accumulato in me ricchezze. E la morte non mi spaventa più. Ho ritrovato in me quell’armonia che avevo posseduto da bambina”: in questo caso è Alma Mahler che parla. Un santo medievale, un bambino “extraterrestre”, una donna speciale… inventati o reali che siano, ciascuno a suo modo fa radicare in maniera diretta la propria esperienza da quella Vita Universale il cui senso è raramente comprensibile, ad eccezione forse che attraverso l’arte.
Non poteva essere che un grande attore (Barrault) a dare un’immagine poeticissima di simili, fuggevoli approdi… trofei d’amore, vedere nelle opere d’arte dei trofei d’amore, unico risultato tangibile del rapporto tra un artista e la Vita Universale. Se guardo queste mie cose mi rendo conto che forse si è trattato di un rapporto un po’ patetico, come quello tra certi uomini e certe donne… che ha lasciato tracce risibili, grottesche, detestabili scorie di una aggressione passionale (fallita?). Monstra, antipatici come certi idoli primitivi, tramite i quali si aveva la pretesa di far rivivere personaggi e situazioni, ma, perché no, anche piccole Wunderkammern, in cui si affastellano uno accanto all’altro, capricciosamente, ricordi di infanzia, feticci poetici, artistici o musicali sotto forma di minuscole citazioni, suggestioni, passioni, con un risultato spesso kitsch, come può esserlo il souvenir del Colosseo o una palla di vetro con la neve sul santuario di Fatima, ma dentro di me grandioso come la scena di un’opera lirica o un quadro di Rubens.
Tutto si sovrappone come all’interno di un diorama del circo Barnum, dai fondali iperrealistici, contro i quali si stagliavano tridimensionalmente animali veri impagliati, figure di cera vestite di esotici costumi, corredate di un autentico campionario da museo antropologico.
Così come tutto si sovrappone, anche nel senso della realizzazione tecnica… quello che accade all’interno di queste scatole brulicanti non è reso in assemblaggio ma per stratificazione. Ed anche se è vero che quello che conta alla fine è il risultato formale, è anche vero che un certo tipo di realizzazione lenta, fatta di attese, di rituali ben precisi, trasmette un valore magico agli oggetti finiti, come se uscissero fuori da una lunga, lentissima metamorfosi che li avrà resi eterni o, quanto meno, solo molto apparentemente effimeri.
Così come lentamente si sedimentano dentro noi stessi immagini sentimenti episodi. Mi viene in mente la casa antica di mia nonna, dove sembrava che d’estate mi annoiassi; con le fondamenta dalle parti dell’Antro della Sibilla (Prenestina); nella cantina pare fosse nato il Principe della Musica (Pierluigi), e, benché fosse un pollaio, aveva tanto di lapide marmorea a ricordo dell’evento; prima dei bombardamenti era appartenuto tutto ai Barberini… gli scarti dei loro scavi archeologici servivano ai ragazzini per giocarci; tanti volti ora raggrinziti vivevano di racconti interminabili della Belle Epoque, di navigazioni verso terre esotiche o coloniali, e della partecipazione a rituali popolari religiosi, di cui un classico era rappresentato dalla Vestizione della Madonna del Carmelo; e quella che io chiamavo noia era soltanto un gran turbinio di suggestioni destinate a sedimentare.
GARDONE RIVIERA
MECCANICHE
DELLA MERAVIGLIA VIII
Testi Critici
- Achille Bonito Oliva “Teatrini dell’Ibrida Immagine”
- Achille Bonito Oliva “Il titolo sublime dell’arte e grottesco dell’opera”
- Paolo Moreno “Maria Cristina Crespo”
- Paolo Moreno “Legno, stoffa, specchio…” dalla rivista ARCHEO. download file PDF – 1 MB
- Angelo Capasso Maria Cristina Crespo, “Pittosculture”
- Maria Cristina Crespo “Maestra di Feticcetti”, (Il procedimento)
- Maria Cristina Crespo “L’opera d’arte è un trofeo d’amore”
- Nicola Dimitri “I piccoli e grandi misteri nelle opere di Cristina Crespo”
- Carlo Marcello Conti Maria Cristina Crespo “Senza sipario”
- Maria Cristina Crespo “Giardini della Memoria”